Un Racconto in più puntate per riflettere sulla nostra disciplina
Una volta si doveva essere veramente lungimiranti e particolarmente saggi per vedere dove saremo andati a finire parlando di forze umane in campo nella rete dell’emergenza. Qualcuno di noi lo era per vocazione o per saggezza, o semplicemente per esperienza. Negli anni immediatamente prima del riconoscimento della nostra disciplina come Specialità, infatti, negli Stati Uniti era già possibile conoscere e leggere tutta la storia che noi stessi avremmo dovuto affrontare. E non sapevamo ancora che sarebbe arrivata una pandemia che avrebbe esasperato ed accelerato alcuni processi apparentemente inevitabili.
Ma andiamo per ordine.
Non è negli USA che nasce la prima scuola di specializzazione in Medicina d’urgenza, ma in Messico nel 1986. Negli Stati d’Uniti si dovrà passare prima dal riconoscimento da parte dell’ABMS dell’ABEM (American board of Emergency medicine) nel 1979, per poi dare vita dieci anni dopo al riconoscimento della ventitreesima specialità: la medicina d’urgenza. Per noi in Italia sarebbero dovuti passare ancora 30 anni per la nascita della nuova Scuola di Specializzazione che oggi si chiama Medicina d’Emergenza-Urgenza. E ci siamo arrivati per fortuna, anche se con tanti compromessi e con alcune mediazioni con cui oggi, forse, stiamo facendo i conti.
Io non sono nessuno, non ho autorità per scrivere “verità assolute”. Non occupo posti di rilievo di comando, e non rappresento nessuno se non non le mie idee e le mie riflessioni.
Negli Stati Uniti però ci sono stata e ho ascoltato e guardato a lungo. Ho deciso negli anni 90 di essere uno di loro anche se vivevo e lavoravo oltre oceano. Mi sono pagata tutta la formazione come se fossi destinata a lavorare negli USA, ho seguito congressi e corsi, ho fatto i famosi ECM (che in America si chiamano CME e quindi non possono essere riconosciuti nel nostro paese), ho visitato e frequentato i Dipartimenti d’Emergenza per vedere come funzionava in quello che a me sembrava il paese dei balocchi. In Italia, bazzico l’emergenza da 40 anni e lavoro nell’emergenza da quasi 30. Anche se l’esperienza americana mi ha dato molto e fatto crescere (e dato forse una visione peculiare), nel nostro paese non manca gente veramente in gamba. Medici e infermieri e altre figure che ruotano intorno al nostro mondo che sanno quello che fanno e sono molto preparati, oltreché umanamente predisposti. Abbiamo società scientifiche rappresentative impegnate nella formazione e nei ruoli istituzionali. Non ci manca nulla quindi.
Insomma, questo per dire che ciò che dico è solo il racconto di un soldato semplice, che non ha nessuna aspirazione a cambiare posizione. Resto nel mio, lo giuro, eppure mi è venuta voglia di condividere il mio punto di vista.
In questa prima puntata, sapete da dove vorrei partire parlando della Medicina d’Urgenza? Dal primo step, ovvero: ma che cavolo è veramente? Chi siamo? Perché è dovuta nascere? Quale era la prospettiva iniziale?
Perché guardate, capire cosa dovrebbe essere e fare un servizio nella nostra società è di grande aiuto per capire la deriva che si è eventualmente presa.
Ora, siccome non voglio tenere nessuno attaccato a leggere per più di dieci minuti, oggi concludo semplicemente riportando la definizione ne da l’American College of Emergency Physicians (ACEP), ovvero l’organismo più autorevole in America nel campo della medicina d’urgenza.
“Specialità medica che ha la speciale missione di valutare, gestire, trattare e prevenire patologie e lesioni inaspettate” … e ancora: “La pratica clinica della Medicina d’Emergenza comprende la valutazione iniziale, il trattamento e la decisione sul ricovero o dimissione di qualsiasi persona, in qualsiasi momento, per qualsiasi sintomo, evento o disordine, che venga ritenuto dal paziente – o da qualcun altro che agisce nel suo interesse – meritevole di una rapida attenzione medica, chirurgica o psichiatrica”.
La formazione specifica del medico d’emergenza, pertanto, non solo dovrebbe essere volta a saper gestire qualsiasi tipo di emergenza in molti diversi campi disciplinari, interagendo con gli specialisti ed utilizzando in maniera oculata le altre risorse strumentali e umane dell’Ospedale, ma si dovrebbe caratterizzare anche per l’abilità di operare la professione in condizioni sfavorevoli, con persone di qualsiasi razza, con condizioni e livelli culturali assi variabili, effettuando attività multitasking (assolvendo, cioè, abitualmente più mansioni contemporaneamente), in tempi rapidi, con la maggior efficienza pur contenendo i costi e sempre tenendo conto di scelte ed interventi dettati da principi di Risk Management.
Non esiste nessun altro specialista che possegga tali prerogative, che ne sia capace e, soprattutto, che ne abbia voglia.
Gemma Morabito